LE PAGINE BIANCHE DI ANNE FRANK

sabato 19 dicembre 2015

CHE FINE HA FATTO l’AGENTE DELLE SS, SILBERBAUER, CHE ARRESTò ANNE FRANK

Già in un precedente post, ho avuto l’occasione di avanzare ipotesi circa l’autore del tradimento che portò all’arresto degli otto clandestini di Prinsengracht 263. Karl Josef Silberbauer è stato l’ufficiale ad eseguire l’arresto il 4 agosto 1944. Finora si sapeva che in seguito all’arresto degli otto clandestini e nonostante diversi processi a suo carico, non subì condanne né alcun tipo di sanzione. Alla fine della guerra ritornò a ricoprire il suo ruolo nella Polizia di Vienna. In realtà pare che ci sia ancora qualcosa da raccontare in proposito……… Tratto da http://marioavagliano.blogspot.it/2011/04/il-nazista-che-arresto-anna-frank.html Pubblicato da Mario Avagliano Il nazista che arrestò Anna Frank diventò 007 della Germania Ovest Karl Josef Silberbauer, l’ufficiale nazista che scovò e fece arrestare la quindicenne Anna Frank, ha lavorato durante gli anni della Guerra Fredda per i servizi segreti della Germania Federale (Bundesnachrichtendienst - BND) come informatore e reclutatore. A rivelarlo è stato il settimanale tedesco Focus, che ha citato le ricerche effettuate dal giornalista Peter-Ferdinand Koch negli archivi delle SS e della Cia. Ricerche che hanno dato luogo al libro Enttarnt (Smascherato).Nel suo libro, Koch sostiene che furono circa 200 gli agenti di Adolf Hitler reclutati in tempi diversi dai servizi della Germania Federale. Silberbauer era nato a Vienna nel giugno del 1911. Entrò nella Gestapo nel 1939 e nelle SS nel 1943. L'anno dopo arrestò Anna Frank e la sua famiglia ad Amsterdam. Koch cita documenti statunitensi e rivela che l'uomo fu localizzato da Simon Wiesenthal nel 1963. L'anno seguente Silberbauer venne sospeso dal servizio e posto sotto investigazione, ma venne successivamente liberato in quanto non avrebbe avuto niente a che fare con l'Olocausto. Secondo Focus, invece, l'uomo utilizzò nel lavoro da agente per il servizio segreto tedesco proprio i contatti con i vecchi camerati nazisti. Silberbauer morì nel 1972, a 61 anni. Annelies Marie Frank, dopo aver passato due anni nascosta in una casa di Amsterdam, venne arrestata, in quanto ebrea, da Silberbauer e dai suoi camerati nell'agosto del 1944. Morì alla fine di marzo dell'anno seguente nel campo di concentramento di Bergen-Belsen per tifo esantematico. Aveva quindici anni. Il suo diario, scritto mentre viveva in clandestinità ad Amsterdam, è uno dei libri più letti dell'era contemporanea. Nel ringraziare Mario Avagliano per questo articolo, approfitto dello spunto per riagganciarmi al mio libro, “Le Pagine bianche di Anne Frank”, e al racconto che Anne fa di quei momenti terribili dell’arresto………. Tutto è successo improvvisamente venerdì scorso. La mattinata procedeva secondo i consueti rituali previsti dal regolamento del nostro condominio: sveglia, processione in bagno e riassetto delle stanze. In meno di un’ora, come il solito, eravamo pronti per l’arrivo dei magazzinieri alle 8.30. Dopo colazione, Miep era passata per la lista della spesa e Pim era su da Peter per la lezione d’inglese. Margot ed io stavamo leggendo dei libri accanto al tavolo del salotto, dove era seduta anche mamma. Verso le 10.30 abbiamo sentito dei passi, seguiti da voci imperiose pronunciate in tedesco e da un tramestio vicino alla libreria. Margot ed io ci siamo guardate e abbiamo cominciato subito a capire. Stavolta non c’è stato il tempo di farci prendere dalla tremarella, perché è successo tutto molto in fretta, punto e basta! Fu molto, molto peggio, quella sera del giorno di Pasqua, quando ci spaventammo da matti e mancò poco che morissi d’infarto! Te ne ricordi, vero? Saprai allora che l’incertezza della pena è sempre peggiore della condanna stessa. Te lo dico con i lumi della ragione e dopo averlo vissuto di persona, amica mia! Improvvisamente la porta si è aperta e sono entrate delle guardie del Servizio di Sicurezza con le armi in pugno, precedute da Kugler. «Gestapo, tutti con le mani in alto», hanno gridato. Due di loro sono saliti al piano di sopra a prendere gli altri. Poi ci hanno perquisito. “Siamo perduti”, ho pensato dentro di me. Nessuno diceva una parola, eravamo tutti bianchi come stracci, con le mani in testa, le gambe tremanti e gli sguardi persi nel vuoto. Il capo delle SS continuava a sbraitare agli altri uomini di muoversi, di frugare ovunque in cerca di eventuali altri clandestini e di valori. Avrà avuto circa trent’anni, indossava la solita divisa di ordinanza e quell’orribile cappello, con il teschio e l’aquila, posato sopra dei capelli biondi, rasati nel tipico stile militaresco. Gli occhi sempre rivolti verso il basso, ma con lo sguardo minaccioso, andava avanti e indietro in preda all'irrequietezza. “Non eravamo noi a dover essere nervosi?!” mi sono detta, sorprendendomi al contempo di tanta ilarità. Dopo quell’improvvisa apparizione avevamo tutti il cuore a mille e in più, anche la pancia cominciava a fare il suo lavoro! Ci saremmo dovuti liberare in qualche modo, ma non c’era il coraggio di muovere un muscolo, né di dire una parola. Margot aveva le guance rigate e mamma cercava di rimanere il più possibile vicino a Pim, in cerca di un’immaginaria protezione. La signora Van Pels tirava su con il naso e singhiozzava; “Una volta tanto” ho pensato di nuovo con ironia “sono senza parole anche i Signori del piano di sopra!” In quei brevi e concitati momenti, siamo stati mandati a preparare gli zaini in fretta e furia e in dieci minuti avevamo già finito, poiché in realtà tenevamo sempre una valigetta pronta per ogni evenienza di fuga. E’ stato comunque angoscioso dover decidere, così su due piedi, cos’altro portare. Non sapevamo quello che ci sarebbe accaduto, né dove ci avrebbero condotto. Nel mio zainetto sono riuscita a infilare una matita e dei fogli sparsi, nell’illusione di poter continuare a scrivere ovunque ci portassero. Mia madre ci ha fatto indossare una tuta con delle scarpe da ginnastica, forse per affrontare meglio l’imminente viaggio per “chissà dove”. Poi, in un attimo tutto è finito. Ti confesso che non c’è il tempo e non basterebbero tutti i fogli che ho a disposizione per descrivere quello che ci è passato per la mente e cosa abbiamo provato intimamente tutti noi. Lentamente, ma sempre con l’ufficiale che ci strepitava nelle orecchie, abbiamo attraversato per l’ultima volta il passaggio segreto e i corridoi che per tanto tempo erano stati anche la nostra casa. Le gambe traballavano e quasi cedevano, scendendo le ripide scale che portano all’esterno. Qualcuno è perfino inciampato, rischiando di farci rotolare tutti fino in strada. Una volta fuori, la forte luce del giorno ci ha accecato e sono occorsi diversi minuti affinché ci abituassimo a quell’improvvisa esposizione. So che non mi crederai, ma ho provato una sensazione strana: terrore, misto a eccitazione. Un sentimento di disperazione ed esultanza insieme. Probabilmente non solo perché quell’inaspettata libertà mi piaceva, ma anche perché, forse, avevo atteso troppo a lungo quell’istante. Ho ripercorso in un attimo i lunghi mesi di reclusione, fatti di tante rinunce e privazioni. L’avevo tanto sognato e proprio quel momento da me tanto agognato -anche se in maniera molto diversa dalla mia immaginazione- adesso era giunto. Segretamente avevo cominciato a sorridere dentro di me, la paura era svanita, o meglio, l'incertezza e ora che gli eventi tanto temuti si erano verificati, mi sentivo come liberata di un grande peso. Non saprei spiegare come, potevo disperarmi, commiserarmi, ma nella testa mi ritornavano le ultime parole del mio “Poppie”, pronunciate poco prima di uscire dall'Alloggio: “Finora abbiamo vissuto nell’incertezza, adesso dobbiamo nutrirci della speranza”. Era davvero tanto tempo che non provavo una simile sensazione di rilassatezza: a quello che ci stava aspettando dietro l’angolo, ci avrei pensato più tardi! Continuavo a respirare, a guardare il cielo estivo di un azzurro intenso, i fiori, il canale con i barconi e le case tutte intorno. Attimi che mi sono sembrati un'eternità. All’esterno ci aspettava una camionetta nera, senza finestre, sulla quale ci hanno costretto a salire. Anche Kugler e Kleiman, purtroppo, erano con noi e questo non faceva che peggiorare il nostro scoramento. Spero con tutto il cuore che possano essere liberati il più in fretta possibile. Non è loro la responsabilità di tutto questo e non devono pagarne le conseguenze. Durante il breve viaggio nel furgone, per lo più ha regnato il silenzio. Pim ha cercato di infonderci coraggio; gli ho chiesto come mai il capo della polizia avesse avuto quell'attimo d’incertezza, dopo aver estratto dal baule la sua divisa da militare: “Credo” mi ha spiegato “che abbia provato rispetto nei miei confronti, poiché anch’io ho combattuto per la Germania nella Grande Guerra e anche perché, secondo la gerarchia militare, oggi sarei ancora un suo superiore” . “Testo protetto da Copyright; ISBN : 9788891096326”

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