LE PAGINE BIANCHE DI ANNE FRANK

sabato 5 dicembre 2015

A PROPOSITO DI GATTI

Un piccolo articolo tratto da http://bloggatta.blogspot.it/2012/06/gatti-famosi-i-gatti-di-anna-frank.html Pubblicato da rosi Gatti famosi: i gatti di Anna Frank Quando Anna si trasferì nel nascondiglio segreto dovette lasciare la sua gatta Moortje. Sembra che la famiglia di un amico di Anna, tale Toosje K., se ne sia preso cura. Scrive la ragazza il 12 luglio del 1942 che le si riempiono gli occhi di lacrime quando pensa alla povera micia, di cui rimpiange la dolcezza. Mouschi era invece il gatto maschio nero di Peter van Daan, il ragazzo che divide con Anna la reclusione nell'alloggio segreto e di cui la ragazza si innamora. Miep Gies, colei che salvò il diario, se ne sarebbe preso cura dopo l'irruzione delle SS. Moffie era invece il nome del gatto del magazzino, un ciccione bianco e nero. Secondo http://www.annefrankdiaryreference.org/cats.htm il nome del micio, che nelle traduzioni inglesi del diario è Boche (il nome con cui nella Grande Guerra i francesi indicavano i tedeschi), si spiega col fatto che i moffen erano biscottini a forma di maiale e che gli olandesi chiamavano così gli invasori tedeschi. Ma quali erano i nomi degli altri gatti di Prinsengracht? Abbiamo letto di Mouschi, il gatto nero di Peter e di Moffie, il gatto incaricato di tenere lontani i topi dal magazzino. Mouschi scompare nell’aprile del 1944 senza lasciare traccia e Moffie, scappato durante l’arresto per un paio di giorni, verrà temporaneamente sostituito da Scharminkeltje (scheletro in olandese), ma diverrà il “gatto dell’ufficio”, accudito teneramente da Miep. E visto che l’argomento di oggi sono i gatti, vorrei proporvi un estratto dal mio libro "Le pagine bianche di Anne Frank" non prima di avervi accennato del gatto di nome Bruno-Rudolf che per qualche tempo ha fatto di Auschwitz la sua casa, familiarizzando con i visitatori e gli abitanti del posto. Il più delle volte si poteva vederlo proprio sotto il cancello d’ingresso, come se ne fosse il guardiano. E prendendo proprio spunto dal fantasma di questo bel gattino, che ho scritto “Il gatto Bruno”; Anne si trova ad Auschwitz e ci racconta di un incontro molto, molto speciale…………… Cara Kitty, avevo dimenticato quanto amore si può provare in un attimo di tenerezza e quanta gioia può scaturire da un semplice gesto d’affetto. Resterai molto sorpresa da quello che ho da raccontarti, poiché stamattina è successo un fatto incredibile: mi sono ritrovata con un gatto in grembo e mentre stringevo quella morbida e calda creaturina, che pulsava tra le mie mani, ho chiuso gli occhi e per un istante mi sono sentita rinascere! Avevo un disperato bisogno di dolcezza, di affetto e di coccole e Dio, mandandomi quel batuffolino tra le braccia, ha voluto riaccendere in me lo spirito vitale ormai assopito. E’ stata una sensazione bellissima, quel piccolo corpicino mi ha riscaldato le membra e risvegliato i sentimenti. Adesso ti racconto per bene com’è andata. Tutto si era svolto secondo l’abituale trantran giornaliero: sveglia prima dell’alba tra suoni inarticolati, urla e schiamazzi; indi, “Bettenbauen”, pulizie e colazione con il solito consommé nero. Il tutto in trenta minuti circa. Dopo l’appello e la formazione delle squadre di lavoro, ci siamo messe in marcia verso la cava. Avevamo da poco varcato il cancello e ci trovavamo in un posto che è chiamato “Vorne”, non lontano dalle abitazioni delle SS. Il nostro Kapò stava lasciando il comando della colonna alle guardie militari, armate di tutto punto, e qualcuno aveva anche uno di quei bei cani indemoniati al laccio. Mentre avveniva il passaggio delle consegne, ho intravisto guizzare alla mia sinistra un gatto, nero come la notte, probabilmente all’inseguimento di un piccolo ratto. Uno dei cani, con uno strattone, si è liberato del guinzaglio e in pochi attimi gli è saltato addosso, pronto ad affondare i suoi denti in quell’esile creatura. Tra i due è seguita una baruffa, con latrati e miagolii. Nessuna delle mie compagne, in quel momento, stava prestando attenzione alla lotta che si stava svolgendo lì, a pochi passi. Erano tutte perse nei propri pensieri, palesando la solita blanda indifferenza che accomuna tutte noi, quando cerchiamo di estraniarci da situazioni poco simpatiche. Così siamo rimaste volutamente distaccate da quel piccolo dramma che stava avendo luogo, fino a che non mi sono risvegliata di colpo e, per un istinto quasi suicida, ho lasciato lo schieramento e mi sono precipitata a separare i due animali, prendendo il gattino tra le mie braccia. Il suo pelo era di un morbidissimo velluto nero. Aveva due occhi profondi, di un color verde smeraldo; erano vivaci e amichevoli e traboccavano gratitudine per il mio tempestivo salvataggio. Al collo portava una medaglietta d’oro davvero molto strana: la parte inferiore era a forma di un otto disteso orizzontalmente; gli occhielli sembravano giusto i due occhi di un felino o forse di un serpente, nel cui interno era inciso quello che credo fosse il suo nome: “Bruno-Rudolf”. La parte superiore del ciondolo portava una croce con due bracci posti parallelamente, ma di diverse dimensioni e con un numero inciso sopra che subito ha attirato la mia attenzione, poiché era il seicentosessantasei! E’ difficile da spiegare e per ora non voglio confonderti le idee, ma prima o poi avrò modo di chiarirti che cosa rappresenti, in realtà, questo simbolo demoniaco. Intanto, ecco il seguito del racconto che riguarda il nostro piccolo micio. Tremava per la paura quando l’ho preso in grembo sottraendolo dalle fauci del terribile cane. E’ stato come riabbracciare Moortje. Dopo pochi secondi, che a me sono sembrati un secolo, ho finalmente realizzato il guaio che avevo appena combinato: proprio di fronte a me c’era la guardia, adesso inginocchiata, che aveva recuperato il cane riallacciandogli il guinzaglio. Accanto a lui era sopraggiunto un ufficiale delle SS che avevo già visto lungo la banchina al nostro arrivo e qualche altra volta che si divertiva, con il camice bianco indosso, a partecipare alle selezioni mattutine. Con lo sguardo gelido e penetrante, emanava una forte aura di autorità e cattiveria. Inappuntabile nella sua divisa di ordinanza, aveva gli stivali lucidati a dovere, il cappello con la visiera e il solito piccolo teschio al centro. Ha fatto qualche passo verso di me, con una voglia omicida negli occhi, senza proferir parola. Da vicino faceva ancora più paura: era livido in volto, aveva i capelli biondi cortissimi, un minaccioso occhio di vetro e un’orrenda mano guantata. Penso fosse artificiale e ciò contribuiva a completare la cupa fisionomia del terrificante personaggio. Ero già pronta all’inevitabile, cioè a scontare le conseguenze di tanta scelleratezza e a ricevere la mia buona dose di bastonate. L’ufficiale ha estratto la pistola dalla fondina e ha rivolto il suo sguardo verso di me, inducendomi a lasciare andare la piccola bestiolina che, con un salto, si è avvinghiata sul suo braccio offeso. Ero sicura che fossi arrivata al capolinea, ma non ho avuto paura, ero solo rassegnata al mio destino e forse, anche un po’ sollevata. Con uno scatto ha alzato la mano sinistra e poi, improvvisamente, si è girato e ha lasciato partire un colpo mortale verso la guardia, rea di aver lasciato andare il cane. Mi ha guardato di nuovo e con un tono da oltretomba e un’espressione ancor più spettrale, ha pronunciato le seguenti parole: «Weg von hier!» Non è finita qui, mia cara Kit. Il pomeriggio, sulla via del ritorno, mentre eravamo in attesa del “cambio della guardia” all’ingresso del campo, l’ho rivisto confabulare con la nostra Kapò, che questa sera si è dimostrata stranamente meno ostile del solito, concedendo a me e a Margot una razione extra di cibo. Mi sono dovuta scolare due pentolini di sciacquatura, ma non è stato affatto sgradevole. Non so proprio cosa pensare: possibile che, quell’agghiacciante personaggio, abbia voluto dimostrarmi gratitudine per quello che ho fatto? Possibile che si sia mosso a pietà dimostrando, tra l’altro, di provare dei sentimenti, anche se solo verso una piccola bestiola? Non me lo so spiegare. Sono tutte domande senza risposta. Se la cosa avrà degli sviluppi interessanti, te ne renderò senz’altro conto. Qualcuno ha detto che il tizio nutrirebbe una vera e propria adorazione per i gatti. Io, piuttosto, ho ipotizzato che questa venerazione possa essersi tramutata addirittura in ossessione; magari sarà stato lo stesso “dio Bruno” a comandargli questa sorta di protezione nei nostri confronti! Tu che ne dici? A me, solo a pensarci, mi vengono i brividi! “Testo protetto da Copyright; ISBN : 9788891096326”

Nessun commento:

Posta un commento